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crociate, genovesi, Giarrettiera, Joanna Pitman, Lydda, marca del tonno, mito e leggenda, Raffaello, Santo globale
Era un cavaliere venuto dal mare con le navi dei genovesi spinte da remi crociati dopo l’addio alle mura di Gerusalemme. Giorgio il cavaliere s’era mostrato ai crociati genovesi all’assedio d’Antiochia accorsi a dare aiuto ai soldati inglesi ridotti a mal partito. Ebbe uno stendardo con la croce rossa in campo bianco e dalla tomba di Lydda entrò al palazzo del mare in Genova repubblica a guardia dei mari. Gli inglesi lo fregiarono cavaliere dell’ordine della Giarrettiera e per tutti fu il santo cavaliere che a cavallo intercetta il dragone onnivoro di prede sacrificali. Fu il vescovo di Genova Jacopo da Varazze a scrivere la sua Legenda Aurea e da allora mito e leggenda convissero mirabilmente. Giorgio di Cappadocia sotto le armi al servizio dell’imperatore romano d’Oriente, obiettò l’ordine di bruciare incenso davanti alla statua di Diocleziano e divenne martire per testimoniare la sua obiezione di coscienza che non ammetteva altro Dio al di fuori del suo.
Fu sepolto e venerato a Lydda (330), lontano dalla sua Cappadocia, il suo culto fiorì sulle sponde del Nilo confuso a scene che rappresentavano l’imperatore Costantino, il liberalizzatore del culto dei cristiani, che calpesta il dragone nemico del genero umano soccombente ai suoi piedi nell’atto di mordere la polvere, e tal’altra al dio Horus nella sua divisa romana che trafigge il coccodrillo, simbolo del dio Set, altro spirito del male, che soccombe tra le zampe del suo cavallo. Importato in Occidente il mito e la leggenda di Giorgio il cavaliere è diventato l’archetipo occidentale della lotta tra il bene e il male, della sfida tra paganesimo e cristianesimo. Il mito di Giorgio martire cavaliere che uccide il dragone divenne il culto di tutto l’Occidente, venerato sub occiduo cardine, tutt’uno con la bandiera rossocrociata in campo bianco di inglesi e genovesi. Riccardo, cuor di leone, che andava alla guerra disse di aver visto il santo dargli forza e guidarlo con le sue truppe cristiane alla vittoria. Edoardo III non dimenticò mai di urlare prima di andare in battaglia St George for England e con i coraggiosi e i più forti fondò l’Ordine di san Giorgio, detto della Giarrettiera: il costume di cingere attorno alla gamba una giarrettiera di seta azzurra con la fibbia d’oro e sopra, ricamate, le rose dei Tudor.
I genovesi sulle rotte per Costantinopoli aprirono fondaci per il deposito delle loro mercanzie e al porto di Palermo portarono il culto del santo traghettatore del mare tra le due terre dedicandogli la chiesa fortezza di san Giorgio dei genovesi.
Galee genovesi e pisane, sebbene avessero patenti di corsa per combattere il naviglio degli infedeli, combatterono la guerra di corsa facendo prigionieri musulmani e anche cristiani; tra una scorreria e un nascondiglio alla cappa conobbero lo scaru di s. Giorgi, nella spiaggia della città di Patti. Prima che cristiani e musulmani si scontrassero in armi nel mare tra le due terre, una tavola di legno, su cui Raffaello aveva dipinto San Giorgio e il drago, non più grande di un foglio A4, risaliva il Tamigi assieme al corteo di nobili accompagnati dai loro carriaggi carichi di donativi destinati al re d’Inghilterra Edoardo VII che aveva insignito dell’Ordine della Giarrettiera Guidobaldo signore di Urbino. Era uno dei capolavori del rinascimento che sbarcava sulle scogliere di Dover e risaliva a Londra lungo il Tamigi, quando ancora il nome del divino Raffaello non era approdato come vanto alla corte d’Inghilterra. Ma conosceva bene il valore del giovane artista il mecenate di Urbino e il capolavoro uscito dalle sue mani avrebbe conosciuto le bramosie di re e collezionisti della vecchia Europa nelle cui corti vegliò i sonni di augusti sovrani fino all’ultimo viaggio alla National Gallery di Washintgon acquistato dai collezionisti americani quando i russi a metà degli anni trenta svendevano a suon di dollari il patrimonio artistico dell’Hermitage creato dalla grande Caterina di Pietroburgo.
Il santo incarna l’ideale della cavalleria medievale e ne indossa l’armatura, abbandonando il rosso del mantello che ne ricordava il martirio. Sul suo cavallo impennato carica la lancia contro il drago liberando la principessa che attende soccorso in preghiera, sullo sfondo di un paesaggio immerso nel verde. Al centro della composizione campeggia il cavaliere che ostenta il nastro della giarrettiera sulla gamba sinistra, ben visibile sotto il ginocchio sinistro del santo. Un capolavoro uscito dalle mani del Raffaello a pochi mesi dalla commessa avuta dal signore di Urbino. E il suo capolavoro stava tutto in quel dinamismo triangolare della composizione ai cui vertici si trovano il volto del santo guerriero, la testa malvagia del drago e la fanciulla serena che prega in ginocchio…. Colto nel gesto di affondare la lancia nel petto del drago è il nobile e romantico san Giorgio che, nel lucore dell’armatura d’acciaio, con il mantello grigio-azzurro che gli si solleva gonfiandosi dalle spalle come fumo, si erge potente sullo sperone. (Joanna Pitman)
Davanti a lui il cavallo dagli occhi traboccanti di passione, da sembrare quasi umani che nel bel mezzo dell’azione e del pericolo mostra come un accenno di sorriso..un sorriso d’intesa, particolare che ammaliava duchi re imperatrici e uomini potenti che vollero per sé quel quadro, capolavoro del genio arguto ammiccante concettuale e sicuro di sé del Raffaello. Il motivo della giarrettiera poi non era altro che una brillante mossa di sottile adulazione, destinata al principe committente e al re d’Inghilterra dal giovane artista.
La bramosia d’avere per la propria marca di tonno uno dei dipinti del Raffaello contagiò anche i Cumbo Borgia padroni dell’antica tonnara sive mare Santi Georgi dove dal tempo dei Martini si pescavano i tonni sotto la protezione del glorioso san Giorgio intercessore di mattanze. Il conte Antonino Cumbo conte Borgia, autore del piano regolatore di Milazzo, dedicò la sua marca al San Giorgio e il dragone dipinto dal Raffaello, conservato al Louvre di Parigi. Fece i suoi studi e provini questa volta alla Galleria degli Uffizi al Gabinetto dei disegni e delle stampe dove si conservano i due disegni di studio del san Giorgio e il drago. Scartò lo studio del san Giorgio e il drago con la caratteristica giarrettiera sotto il ginocchio della gamba sinistra del cavaliere, escludendo l’intento adulatorio del suo prodotto. Il conte osservò le tracce di puntinatura sul foglio, ed ebbe la conferma che il medesimo venne utilizzato come cartone per il quadro. E a ricordo delle straordinarie mattanze fatte nella sua tonnara gli eredi dedicarono al santo un’icona a piastrelle ispirata al motivo del quadro del Raffaello San Giorgio e il dragone che ancora oggi sul frontone del barcarizzo guarda il mare dove continuano a passare i tonni.
BIBLIOGRAFIA:
Fernando e Gioia Lanzi, Come riconoscere i Santi, Jaca Boock 2002; Dante Balboni, San Giorgio martire, Roma 1966; K. Michalowski, L’arte nell’antico Egitto, Garzanti, 1990 ;Joanna Pitman, Sulle tracce del drago, Longanesi, 2008.
G. Alibrandi, Il mio San Giorgio, Il mio Libro, L’espresso, 2011